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Il cervello nell’adolescenza: il segreto del successo della nostra specie
- 28 Febbraio 2024
- Pubblicato da: Accademia
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Il cervello dell’adolescente non è nè difettoso, né corrisponde a quello di un adulto formato a metà. L’evoluzione lo ha forgiato per funzionare in modo diverso da quello di un bambino o di un adulto.
Jay N. Giedd
La prestigiosa neuroscienziata Sarah-Jayne Blakemore racconta che una sua amica convinceva sempre la figlia di dieci anni a smettere di fare disastri al supermercato, insieme alla sorella minore, promettendole che le avrebbe cantato una canzone proprio lì. La strategia ha sempre funzionato, le bambine hanno smesso di comportarsi male e hanno ascoltato la loro canzone preferita. Tuttavia, quando la figlia maggiore compì tredici anni, suo padre osservò che l’unico modo per convincerla a smettere di infastidire sua sorella nei negozi era minacciarla di cantare. Immaginare il padre in pubblico era sufficiente per farle comportare bene. Quanti cambiamenti in pochi anni e quante nuove opportunità!
I cambiamenti nel cervello dell’adolescente.
Gli studi di neuroimaging degli ultimi anni hanno rivelato che l’adolescenza costituisce un periodo in cui avviene una straordinaria riorganizzazione cerebrale, sia a livello funzionale che strutturale, paragonabile a quella che avviene nei primi tre anni di vita. Ed è proprio questa grande plasticità cerebrale che rende l’adolescenza un periodo di grandi opportunità, ma anche di grandi rischi. Così, ad esempio, gli adolescenti possono progredire rapidamente nel loro sviluppo cognitivo, emotivo e sociale, ma sono anche più vulnerabili ai comportamenti a rischio o ai disturbi psicologici. In termini generali, durante l’adolescenza si verificano due grandi cambiamenti nel cervello, sia nelle ragazze che nei ragazzi. Il primo corrisponde ad un aumento della sostanza bianca (assoni ricoperti di mielina) e il secondo ad una diminuzione graduale della materia grigia (strutture non mielinizzate, come i somi neuronali o i dendriti). Nella corteccia frontale, a differenza di quanto accade in altre regioni del cervello, le sinapsi continuano a proliferare durante tutta l’infanzia e il massimo della materia grigia viene raggiunto intorno agli 11 anni nelle ragazze e ai 12 anni nei ragazzi ( Lenroot e Giedd, 2006; cfr. Figura 1).
Negli anni successivi diminuisce gradualmente per poi rimanere abbastanza stabile nella vita adulta. L’eliminazione selettiva delle connessioni è dovuta a un processo di potatura che permette di mantenere le sinapsi che vengono utilizzate e di scartare quelle che non lo sono (a livello cerebrale vale il “usalo o buttalo via”), migliorando così l’efficienza neuronale. L’ultima regione in cui si vedono questi tipi di cambiamenti è la corteccia prefrontale, la sede delle cosiddette funzioni esecutive , quelle che ci permettono di prendere decisioni appropriate e che, in definitiva, ci rendono umani.
Il cervello dell’adolescente non è nè difettoso, né corrisponde a quello di un adulto formato a metà. L’evoluzione lo ha forgiato per funzionare in modo diverso da quello di un bambino o di un adulto.
Jay N. Giedd
Insieme a questo si verifica anche un aumento della sostanza bianca nella corteccia prefrontale durante l’adolescenza. Questo è il risultato di un processo di mielinizzazione che inizia nell’infanzia e dura fino all’età adulta con il quale i neuroni, man mano che si sviluppano, creano attorno agli assoni uno strato di una sostanza grassa bianca chiamata mielina che migliora la velocità di trasmissione delle informazioni tra neuroni e porta a un aumento della connettività tra le regioni del cervello (Giedd et al., 2015). La rapida mielinizzazione dei neuroni nell’adolescenza permette di coordinare una grande varietà di compiti cognitivi in cui intervengono diverse regioni del cervello, al fine di migliorare progressivamente il loro funzionamento esecutivo. E man mano che la connettività e l’efficienza neuronali migliorano, il cervello adulto viene configurato.
Emozione vs controllo
I cambiamenti più importanti che si verificano nel cervello durante l’adolescenza non sono associati allo sviluppo delle regioni cerebrali, ma a un processo di riorganizzazione che migliora la comunicazione tra di loro. Questi cambiamenti si verificano principalmente nella corteccia prefrontale e nel sistema limbico o emotivo. Attualmente si ritiene che il fattore più determinante per spiegare il comportamento tipico dell’adolescente non sia solo lo sviluppo tardivo delle funzioni esecutive, associato al lento processo di maturazione della corteccia prefrontale – che può durare fino ai vent’anni – o i drastici cambiamenti che il sistema limbico sperimenta durante la pubertà stimolato dagli ormoni, ma il ritardo temporale tra entrambi i processi (Mills et al., 2014; vedi figura 2). La maggiore sensibilità delle regioni sottocorticali durante l’adolescenza favorisce la comparsa di comportamenti evolutivamente radicati che incoraggiano i giovani a esplorare nuovi ambienti, a correre rischi o ad allontanarsi dall’ambiente familiare per stabilire relazioni tra pari, ad esempio. Ma il mancato sviluppo della corteccia prefrontale spiegherebbe la loro maggiore difficoltà nel controllarsi, nel comprendere gli altri o nel percepire messaggi importanti nelle interazioni sociali.
Allo stesso modo, le differenze nel tasso di maturazione cerebrale e nella produzione ormonale potrebbero spiegare, in parte, perché l’adolescenza colpisce in modo diverso ragazze e ragazzi. Nelle ragazze, ad esempio, le regioni della corteccia frontale, coinvolte nell’elaborazione linguistica o nell’inibizione degli impulsi, e l’ippocampo, essenziale nei processi di memoria e apprendimento, maturano prima. Mentre nei ragazzi, il lobo parietale inferiore, essenziale per i compiti spaziali, o l’amigdala, maturano prima (Lenroot e Giedd, 2010).
E per quanto riguarda le questioni ormonali, sappiamo che nelle ragazze c’è una grande sensibilità alle relazioni sociali e il rilascio di dopamina e ossitocina attivato dagli estrogeni spiegherebbe il bisogno che hanno di condividere esperienze con gli amici, mentre nei ragazzi l’aumento del testosterone o della vasopressina livelli giustificherebbero rispettivamente la mancanza di interesse sociale o il desiderio di essere competitivi che così spesso percepiamo in essi.
Il piacere della ricompensa
Il processo di graduale riorganizzazione e maturazione che il cervello sperimenta nell’adolescenza colpisce le regioni che regolano l’esperienza del piacere (ricompensa), il modo in cui vediamo e pensiamo agli altri (cognizione sociale) e il modo in cui controlliamo noi stessi (autoregolazione). In relazione alla ricerca di novità e di comportamenti a rischio tipici nell’adolescenza, è stato dimostrato che durante la pubertà, soprattutto, si verifica un aumento della densità dei recettori della dopamina (Silverman et al., 2015).
Questo neurotrasmettitore associato alla curiosità e alla ricerca di novità interviene nel cosiddetto sistema di ricompensa cerebrale, che ci motiva e ci permette di apprendere. Gli adolescenti risolvono i problemi in modo simile agli adulti e riconoscono i rischi proprio come fanno loro, ma sono più sensibili alle ricompense. Oppure, se vogliamo, valutano la ricompensa al di sopra delle possibili conseguenze negative. E in presenza dei suoi amici l’effetto è amplificato. Gardner e Steinberg (2005) hanno utilizzato un videogioco in cui i partecipanti dovevano attraversare una città con un’auto il più velocemente possibile perché venivano pagati in proporzione al tempo investito. In molti incroci lungo il percorso c’erano semafori che diventavano casualmente color ambra e questo costringeva a prendere una decisione rapida. Il giocatore poteva aspettare e riprendere a camminare nel verde oppure risparmiare tempo attraversandolo in ambra, sebbene si esponesse ad un probabile incidente che lo avrebbe penalizzato con un intervallo di tempo più lungo. Ebbene, quando gli adolescenti intraprendono il percorso da soli si assumono rischi simili a quelli degli adulti. Tuttavia, in compagnia dei loro amici – anche quando non possono comunicare tra loro – cambiano il loro modo di guidare e aumentano molto di più i rischi (vedi figura 3), cosa che non accade negli adulti perché continuano a guidare allo stesso modo, anche se hanno i loro amici al loro fianco.
Quanto è importante per l’adolescente sentirsi accettato dal gruppo dei pari. La risposta del cervello all’esclusione del gruppo è simile a quella osservata in situazioni di minaccia fisica o depressione (Masten et al., 2009).
Sviluppo della cognizione sociale
Anche lo sviluppo delle abilità sociali che ci permettono di interagire e comprendere le altre persone è particolarmente influenzato durante la fase adolescenziale. Immaginiamo di partecipare ad un tipico compito di laboratorio (Kilford et al., 2016) in cui è presente uno scaffale con vari oggetti, alcuni dei quali non possono essere visti da una persona che sta dietro perché oscurati da uno sfondo grigio scuro (vedi figura 4a; Condizione del Direttore ). Quella persona ci chiede di spostare degli oggetti ma, naturalmente, saranno quelli che potrà vedere. Ad esempio, puoi dirci “Muovi la palla più grande”. Dal nostro punto di vista, quella palla è il pallone da basket, tuttavia, l’altra persona non può vederlo, quindi dobbiamo metterci nella sua situazione e capire che si riferisce al pallone da calcio. In laboratorio questi tipi di compiti vengono forniti ad adolescenti e adulti e vengono svolti anche in una situazione di controllo in cui non c’è nessuna persona dietro (vedi figura 4b; No Director Condition) e bisogna semplicemente applicare la regola “ignora gli oggetti con lo sfondo grigio scuro.”
Anche se può sembrare sorprendente, gli adulti commettono il 50% di errori nel compito in cui devono seguire le istruzioni dell’altra persona e molto meno quando devono solo ricordare la regola di ignorare lo sfondo grigio. Come si può vedere nella Figura 5, gli errori diminuiscono in entrambe le situazioni all’aumentare della fascia di età dei partecipanti. Ma se si confrontano gli ultimi due gruppi, quello degli adolescenti tra i 14-17,7 anni e quello degli adulti, non si nota quasi alcuna variazione nella condizione ‘senza direttore’, ma si nota un miglioramento significativo nella condizione ‘con direttore’.
L’adolescente utilizza cioè le strategie cognitive di base allo stesso modo dell’adulto, ma ha bisogno di sviluppare la capacità di interpretare le azioni degli altri, essenziale per navigare nell’oceano delle relazioni sociali.
Una maggiore conoscenza del cervello dell’adolescente permetterà di ottimizzarne lo sviluppo, ma ci aiuterà anche a differenziare i comportamenti tipici di questa fase dalle malattie mentali. Perché, ad eccezione dell’ADHD, dei disturbi dell’apprendimento o dell’autismo, ad esempio, la stragrande maggioranza dei disturbi, come depressione, anoressia o bulimia, disturbo bipolare, disturbi d’ansia, tossicodipendenza o schizofrenia, iniziano nel periodo tra i 10 e i 25 anni anni (Lee et al., 2014).
Importanza del contesto
La propensione a correre rischi in adolescenza ha dimostrato di avere un valore adattivo perché, in molte occasioni, il successo nella vita richiede di affrontare situazioni meno sicure. Come per la tendenza a interagire con i coetanei – i coetanei offrono più novità rispetto all’ambiente familiare già noto –, i comportamenti a rischio tra gli adolescenti sono stati osservati in tutte le culture, anche se in misura diversa (Steinberg, 2014). Ciò suggerisce che, invece di cercare di cambiare la natura dell’adolescente, dovremmo influenzare il contesto in cui si manifestano queste inclinazioni naturali. Ad esempio, molti programmi educativi di prevenzione – come quelli sulle gravidanze indesiderate o sul consumo di alcol – presuppongono che gli adolescenti penseranno alle conseguenze future delle loro azioni in stati di alto impatto emotivo (non lo faranno) o che corrono rischi perché non lo fanno. Sono ben informati su tali conseguenze (non ne sono consapevoli).
Un altro approccio diverso, che non si limita a fornire informazioni sulle attività rischiose e che è molto più in linea con le esigenze del cervello dell’adolescente, sono i programmi che si concentrano sul miglioramento dell’autoregolamentazione. E se il contributo della scuola può essere importante, fondamentale è l’impatto dell’ambiente familiare. I figli di genitori che catturano i loro bisogni emotivi, stabiliscono limiti adeguati e promuovono un’autonomia che consente loro di sviluppare il loro pieno potenziale avranno maggiori probabilità di migliorare la propria autoregolamentazione e di avere successo nella vita (Luyckx et al., 2011). Può anche essere molto utile per gli adolescenti, soprattutto quelli provenienti da contesti socioeconomici svantaggiati, partecipare ad attività extrascolastiche ben strutturate e supervisionate da adulti, come lo sport o il teatro. Infatti, le decisioni che gli adolescenti prendono in presenza di un adulto poco più grande di loro sono molto più prudenti di quelle che prendono in presenza dei coetanei e sono simili a quelle che decidono quando sono soli (Silva et al., 2016 ; vedere figura 6).
Il potere dell’autoregolamentazione
La capacità di controllare le nostre azioni dipende dall’integrità del sistema di funzionamento esecutivo, una vasta rete distribuita principalmente nella corteccia prefrontale. Il lento sviluppo di questa regione – la più moderna del cervello, ma anche la più vulnerabile – fa dello sviluppo dell’autoregolamentazione il grande obiettivo che gli educatori dovrebbero perseguire, soprattutto nell’adolescenza, e a maggior ragione ora che costituisce un periodo più ampio.
Ma ciò richiede di andare oltre l’insegnamento di competenze accademiche che hanno un impatto minore sullo sviluppo della persona e sul suo successo nella vita. Sappiamo, ad esempio, che lo stress, la tristezza, la solitudine o la stanchezza possono nuocere al corretto funzionamento della corteccia prefrontale e interferire con l’autocontrollo a qualsiasi età, ma l’incidenza sarà maggiore quando il suo sviluppo è parziale, come nel caso di adolescenti. Fortunatamente, disponiamo di molteplici prove empiriche di diversi tipi di programmi che possono favorire lo sviluppo della necessaria autoregolamentazione, essenziale per lo sviluppo accademico e personale dei giovani. Secondo Steinberg (2014), le strategie più utili per gli adolescenti provengono dall’allenamento cognitivo, dall’esercizio aerobico, dalla consapevolezza e dai programmi di educazione emotiva. Per quanto riguarda il contesto scolastico, i programmi di esercizio fisico con gli adolescenti costituiscono un’ottima forma di formazione esecutiva e sono molto adatti a combattere lo stress, mentre i programmi di educazione socio-emotiva sono essenziali nello sviluppo delle competenze emotive di base, alcune delle quali si rafforzano quando si rafforza la consapevolezza . integrati nelle attività. E non dimentichiamo l’importanza dell’educazione artistica nell’educare all’autocontrollo, come nel caso del teatro. Quando il bambino o l’adolescente canta o recita, inibirà gli impulsi, non sarà distratto e sarà orgoglioso di mostrare il risultato finale ai suoi coetanei. E questo accade perché trova motivanti le attività proposte. Questa è la chiave per l’efficacia dei compiti ricreativi, sportivi o artistici.
Da problema ad opportunità
La grande plasticità del cervello durante l’adolescenza rende questa fase una fantastica opportunità di apprendimento, di sviluppo della creatività e di crescita personale dello studente. Tanto che alcuni autori suggeriscono che l’adolescenza potrebbe rappresentare un nuovo periodo sensibile nello sviluppo del cervello, dopo le prime finestre plastiche associate allo sviluppo sensoriale, motorio o linguistico (Furhmann et al., 2015).
Conoscere le particolarità dello sviluppo cerebrale ci garantirà di non stigmatizzare i comportamenti tipici osservati e capiremo che l’adolescente ha bisogno della nostra guida, supervisione e comprensione. Poiché il cervello dell’adolescente è particolarmente sensibile alle novità, sarebbe interessante coinvolgere gli studenti in attività che costituiscano sfide stimolanti che permettano loro di amplificare il loro desiderio di essere creativi. L’adolescente cerca nuove aspettative e vuole indagare la propria identità, quindi non c’è niente di meglio che incoraggiarlo ad adottare modi di pensare aperti, che possono essere raggiunti attraverso progetti transdisciplinari come SL ( service-learning), un ottimo modo per collegare le imparare a situazioni reali e promuovere la cooperazione o l’analisi critica, tra molte altre competenze essenziali nei tempi attuali. Studi longitudinali con adolescenti rivelano che i migliori risultati accademici e le relazioni più soddisfacenti tra pari sono associati al lavoro cooperativo in classe e non al lavoro individualistico (Roseth et al., 2008).
D’altra parte, quando vengono poste domande come “Come potrebbe il mondo essere migliore?” e viene chiesto loro di collegare la risposta a ciò che stanno imparando a scuola, la riflessione sul contributo al benessere degli altri aumenta la loro motivazione verso l’apprendimento e incoraggia la loro autoregolamentazione (Yeager et al., 2014). Ed è così che siamo noi esseri umani, esseri sociali con una capacità unica di cambiamento, adattamento e apprendimento. Soprattutto nell’adolescenza. Grazie al nostro cervello.
Autore: Jesus Guillen
Fonte: https://escuelaconcerebro.wordpress.com/tag/cerebro-adolescente/
Traduzione: Margherita Delfini