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Nessun bambino è predestinato a essere goffo: come incoraggiarli a fare sport
- 21 Ottobre 2022
- Pubblicato da: Accademia
- Categoria: Blog
Alcuni bambini e bambine si sentono incapaci e alienati quando praticano sport, ma vari studi dimostrano come questi problemi possono essere evitati
Sicuramente ricorderete il film diretto da Blake Edwards: “Hollywood Party”, interpretato da Peter Sellers nei panni di un goffo aspirante attore di origine indiana di nome Hundri V. Bakshi. Una delle scene che ricorderete di più è quella in cui il personaggio si trova in bagno, cerca di usare la carta igienica e il rotolo inizia a girare e rilasciare carta senza sosta, con l’acqua che esce dal water… Insomma, un disastro!
Abbiamo tutti in mente qualcuno simile a Hundri Bakski; magari siamo proprio noi stessi a identificarci. Probabilmente, durante le ore di educazione fisica vi ricorderete anche di alcuni compagni che non riuscivano a colpire la palla, che la perdevano sempre quando cercavano di farla rimbalzare o si sentivano persi nelle partite e, quel che è peggio, finivano per presumere che muoversi con la coordinazione non fosse cosa loro, e si sono dati per vinti. È davvero curioso quanto poco sia stato detto su questo argomento.
In un recente libro intitolato Exercised, il biologo evoluzionista di Harvard Daniel Lieberman racconta di una propria esperienza personale che risale ai suoi tempi a scuola e di come l’esercizio fisico fosse fonte di umiliazione, di vergogna, e di come si nascose nell’armadio degli spogliatoi per non essere visto dalla sua insegnante, che era solita “usarlo” come esempio davanti ai suoi compagni. Sono molte le persone che hanno vissuto esperienze simili e in quasi tutte le materie. Si tratta di quella porzione della popolazione che si crede predestinato a essere incapace, anche se vorrebbe non esserlo. Hanno imparato a credere che la matematica, la lingua o l’educazione fisica siano per chi è nato talentoso, e la cosa peggiore è che anche molti insegnanti e genitori la pensano così. Niente è più lontano dalla realtà. È necessario sfatare questo mito. L’evidenza indica che è possibile e che è questione di pratica.
Sono diversi i motivi per cui uno studente durante una lezione di educazione fisica si muove in modo scoordinato, e partecipa poco a giochi e sport. Da un lato, ci sono quelli che credono che ci sia qualcosa nel loro cervello che non funziona correttamente, anche se non sanno molto bene di cosa si tratta. Altri credono si tratti di una questione ereditaria, visto che anche i padri o le madri sono stati goffi da piccoli e da adolescenti, e pensano che se il padre non era coordinato, perché dovrebbe esserlo suo figlio?… Infine, c’è un settore di specialisti che ritiene che la questione abbia un’origine ambientale: mancanza di pratica. E’ quindi l’ambiente a non incoraggiare i bambini a muoversi così da risultare in una alfabetizzazione motoria molto bassa. In breve, è quello che un gruppo di ricercatori canadesi ha chiamato deficit di attività.
Ci sono diversi livelli di competenza motoria tra i bambini, che mostrano una basse competenze motorie. E tra questi troviamo coloro che possono soffrire di quelli che vengono chiamati “problemi evolutivi di coordinazione motoria” (Disturbo della coordinazione dello sviluppo-DCD). Li presentano quei bambini le cui capacità motorie basse sono più intense e persistenti, ma migliorano quando i loro bisogni vengono soddisfatti. E il maggior numero di bambini con scarsa capacità motoria lo sono perché non hanno praticato o non hanno avuto un ambiente che li ha spronati a muoversi, e che cambiano più rapidamente quando vengono offerte loro opportunità e insegnamento adeguato per migliorarsi. Gli effetti di questi problemi sono molteplici, poiché impedisce loro di essere in forma, vivono in un circolo vizioso in cui il fatto di non partecipare ad attività fisiche e sportive li mantiene in una situazione sfavorevole e non riescono a progredire.
E’ stato dimostrato che si tratta di problema di natura multi-fattoriale. Un ambiente poco stimolante, insieme all’esistenza di possibili problemi neurologici, metabolici o problemi della madre durante la gravidanza (incompatibilità sanguigna, assunzione di farmaci o carenza vitaminica) potrebbero essere la causa di queste difficoltà. In alcuni casi si tratterebbe di difficoltà nella rappresentazione mentale dei movimenti, che ne limitano la pianificazione e l’organizzazione e influenzano le funzioni esecutive come la memoria di lavoro, l’elaborazione delle informazioni visuo-spaziali, la capacità inibitoria o la flessibilità cognitiva.
Tutto questo ci dice che muoversi con difficoltà a scuola non è strettamente una questione di muscoli e tendini, ma è più globale, e riguarda tutta la persona, perché muoversi male è anche un problema per le proprie emozioni e percezioni di competenza, e tenda a limitarla nelle sue decisioni sul pratica reo meno. Anche se vorrebbe iscriversi ai corsi di basket del doposcuola, questo studente non lo chiede ai suoi genitori perché sa che non sarà in grado di palleggiare senza intoppi.
Cosa fare in queste situazioni?
La prima cosa è essere consapevoli che esistono anche alunni con questo livello di competenze motorie. E sarà proprio grazie a questa consapevolezza che si potranno intraprendere azioni coordinate per evitare che qualsiasi alunno cresca goffo, dato che gli effetti collaterali di queste difficoltà motorie sono associate a difficoltà sociali, comportamentali, a una bassa autostima, alla diminuzione nella pratica delle attività fisiche e a una bassa condizione fisica. Essere in buone condizioni fisiche favorisce i risultati scolastici, da qui l’importanza di evitare che i bambini si sentano incapaci e alienati durante le lezioni di educazione fisica, e che vivano lo sport come una “tortura”, un’umiliazione o che si sentano costretti a dover “sopravvivere alla palestra”.
Nessun bambino è predestinato a essere goffo per tutta la vita. Le famiglie e gli insegnanti giocano un ruolo fondamentale nel miglioramento delle capacità motorie, rappresentando per loro modelli di pratica. La bassa competenza motoria non scompare perché uno scolaro cresce, può persistere fino all’età adulta se non viene prestata sufficiente attenzione a tale questione.
Potremmo incoraggiare il bambino a seguire delle lezioni di educazione fisica tre o quattro volte a settimana, ad andare a fare una passeggiata nel parco o nei boschi, ad andare in bicicletta in campagna, a nuotare, a correre in un parco, a fare atletica leggera, giocare a basket, calcio o pattinaggio. Siamo esseri che si muovono e possono divertirsi a muoversi in un mondo, che ci incoraggia a sederci e guardare uno schermo. I nostri studenti e noi stessi in primis siamo intelligenti perché siamo un corpo e perché agiamo. Bisogna mettere da parte miti e leggende che dicono che le attività fisiche e sportive sono solo per chi è nato predisposto a farle. Tutte le persone hanno intelligenza corporea e la possono sviluppare migliorandola. È proprio questa intelligenza che ci rende competenti nel nostro mondo, ha solo bisogno di essere esercitata, ed è l’esercizio a generare numerosi effetti benefici: il nostro cuore pomperà sangue, i muscoli si tonificheranno, e il riposo e il sonno miglioreranno, il nostro il cervello si sentirà felice, i nostri figli andranno meglio a scuola e noi saliremo al nostro piano di casa senza bisogno di utilizzare l’ascensore.
L’evidenza di tutto questo è schiacciante, ma è necessario essere convinti e fare sì che i nostri figli abbiano più ore di educazione fisica a scuola, ed essere un esempio per loro. C’è sempre qualche attività che può essere fatta! Cerchiamo quell’attività o sport in cui si sentono competenti e pienamente realizzati.
MIGUEL ÁNGEL GÓMEZ RUANO LUIS MIGUEL RUIZ PÉREZ
Fonte: https://elpais.com/salud-y-bienestar/enformate/2022-10-14/ningun-nino-esta-predestinado-a-ser-torpe-como-evitar-que-las-clases-de-educacion-fisica-sean-una-tortura.html
Traduzione: Margherita delfini